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Sull’epoca Schlein

Raffaello Morelli - marzo 2023 - pensalibero

 

La Schlein ha seppellito definitivamente l’epoca di Renzi che nel PD non pochi facevano sopravvivere (e basta questo per sottoporre la sua segreteria a non lievi tensioni con molti nostalgici pure in Toscana). E poi fa intendere che rivedrà l’ostracismo verso il M5S. In sintesi vuol riposizionare il PD su un’opposizione al governo più sui fatti di una linea politica netta, che non sullo schieramento parolaio nostalgico del potere 

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Dopo le elezioni del 2018 e quelle del 2022, anche un test più circoscritto quale le primarie del PD, ha per la terza volta consecutiva confermato che gli elettori non sopportano più di venir governati da chi si mantiene lontano dalle loro necessità ed indicazioni. Perché è certo che Elly Schlein è l’immagine plastica del cambiamento. Non appartiene alla consolidata nomenclatura del PD nato dalla fusione tra l’antica tradizione della sinistra di classe e i cattolici della margherita, anzi si è iscritta al PD solo per fare le primarie; ha più cittadinanze; è di religione israelita; è una donna dell’alta borghesia; vive di persona il diritto alla diversità sessuale; intende alzare le retribuzioni minime, rappresentare chi dispone di meno risorse e tassare meno il lavoro;  vuol porre al centro della politica la questione del clima e proseguire lo stop al nucleare. 

La Schlein ha seppellito definitivamente l’epoca di Renzi che  nel PD non pochi facevano sopravvivere (e basta questo per sottoporre la sua segreteria a non lievi tensioni con molti nostalgici pure in Toscana). E poi  fa intendere che rivedrà l’ostracismo verso  il M5S.  In sintesi vuol riposizionare il PD su un’opposizione al governo più sui fatti di una linea politica netta, che non sullo schieramento parolaio nostalgico del potere.

Il terremoto indotto dentro e fuori il PD, dovrà tradursi in atti concreti e coerenti con quanto dichiara la neo Segretaria. Già fra meno di due mesi ci saranno delle amministrative in 800 comuni; ma il primo vero banco di  prova sarà tra quindici mesi alle elezioni europee. Sarà lì che si misurerà   il gruppo dirigente tutto rinnovato. Pure è certo che sul tavolo ci sono fin da ora molti nodi che non potranno essere elusi. 

Quello più aggrovigliato è senza dubbio la crisi Ucraina, tema che la Schlein ha fin qui eluso. Un tema che solleva per lo meno due interrogativi. Uno è se il PD della Schlein proseguirà la linea del PD di Letta, filo NATO senza sbavature e riflessioni critiche, che oltretutto non consente distinzioni rispetto al Presidente del Consiglio. L’altro interrogativo è come il PD della Schlein si porrà qualora, alla scadenza della Segreteria NATO nelle prossime settimane, venisse fuori la candidatura di Enrico Letta, sulla carta dotato del curriculum adatto per aspirare alla carica. Una candidatura certo migliore della precedente fautrice della guerra, ma di sicuro ingombrante per le implicazioni del ruolo sul nuovo PD.  

    marzo 2023                                                 Raffaello Morelli

 

 

 

 

 

Una scissione senza futuro
 Raffaello Morelli - Febbraio 2021 -


A metà dello scorso gennaio, il 15, cadeva il Centenario del XVII Congresso del PSI, tenutosi al Teatro Goldoni di Livorno e concluso la settimana dopo dalla scissione della componente comunista e la nascita del PCI. Non per caso, l’unica celebrazione nazionale svoltasi in quella data è stata un convegno organizzato negli stessi luoghi dai Circoli di Cultura Luigi Einaudi e G. Emanuele Modigliani (con il titolo “Eutanasia della democrazia: dal biennio rosso al ventennio fascista”). Un evento di rilievo – le relazioni sono state di tre noti docenti universitari quali Zeffiro Ciuffoletti di Firenze, Paolo Nello di Pisa e Giovanni Orsina della LUISS di Roma, moderatore Luigi Vicinanza, del vertice del gruppo editoriale GEDI, e interventi del Sindaco di Livorno Luca Salvetti e del Presidente della Toscana Eugenio Giani – ma il solo con un’impostazione critica. Di certo in quella data, ma in sostanza anche dopo e finora.

Fioriscono invece libri e documentari TV celebrativi con più o meno enfasi del ruolo dei comunisti, da allora e nei decenni successivi. Come liberali, si possono ben comprendere le esigenze editoriali, ma non la mancanza di riflessione critica sul perché il comunismo ha fallito. E che la riflessione manchi è indubbio. Sul perché, due esempi, diversi ma convergenti. L’ampio servizio di RAI3 sul tema si è concluso con una frase emblematica di Occhetto: “Adesso che ci siamo liberati dell’ideologia, il sogno deve tornare a volare alto”. In altre parole, da la colpa all’ideologia ma, sorvolando sul dire che essa consiste nell’imporre l’utopia, dimostra di volerla continuare. E poi la recensione con due note dei quattro volumi dal titolo “Cento anni di sinistra” in distribuzione con l’Espresso. Una nota è che la sinistra “ha fissato i principi di libertà e di democrazia da cui è nata la Costituzione” (il che è materialmente falso sia perché la pratica dei due concetti è stata assai problematica da parte comunista, sia perché omette il ruolo determinante di DC e PLI e l’epoca dei approvazione della Costituzione quando la sinistra era in minoranza da sette mesi) . L’altra nota è che la sinistra “ha sognato e costruito l’Europa Unita” (il che non è vero, perché i fatti e i tempi hanno mostrato che sognare l’Europa non è stato equivalente a costruirla, vedi ad esempio i furibondi attacchi comunisti in Parlamento contro la nascita effettiva dell’Europa con la Comunità Economica Europea promossa dal liberale Gaetano Martino). Infine, la recensione si conclude affermando che la sinistra dovrà agire “azzardando soluzioni originali, salvando però i valori che ne hanno accompagnato un secolo di storia”. In sintesi, insistendo nel magnificarla, sorvola sul dato che quella del 1921 del PCI è stata una scissione senza futuro.

A parte il Convegno sull’Eutanasia della Democrazia, ad oggi l’unica altra riflessione critica è stata la contro-biografia sul PCI pubblicata dal Corriere a firma di Pierluigi Battista. E’ un mero elenco di decine di scritti negativi in varie epoche riguardo l’esperienza comunista, e non una vera e propria riflessione sul Centenario. Ma si distingue dal coro del conformismo agiografico da cui la sinistra non sa staccarsi.

Il fatto è che, dopo un secolo di tragedie e di fallimenti, per la sinistra è necessaria quell’opera di ecologia politico culturale – nell’interesse anche di tutto il paese – avviata dal Convegno sull’Eutanasia della Democrazia (che si trova su Radio Radicale). Perché l’insegnamento effettivo del XVII Congresso PSI è che conservare l’ideologia rivoluzionaria da spazio a reazioni socio politiche che allora portarono al sovvertimento della democrazia. Con precisione ancora maggiore, è che riflettere sui fatti di questo secolo, induce a non restare alla politica come sogno e come utopia. E’ indispensabile cambiare alcuni valori. Una convivenza migliore e più libera non si costruisce con i sogni e declamando speranze da cui farsi guidare, ma affidandosi alle scelte dei cittadini (non delle elites o delle classi) per sperimentare e capire i meccanismi materiali della realtà e dei rapporti individuali.

Ciò è indispensabile dato che le istituzioni liberal-democratiche si sono dimostrate lo strumento più efficace con cui i cittadini affrontano la realtà e che la loro essenza è il mantenersi duttili per adattarsi costruttivamente alle sfide che la realtà inevitabilmente riserva. Ancor più oggi, quando le difficoltà sono accentuate a causa della pandemia da Covid-19, che impone dei sacrifici rispetto alla sterile concezione della libertà come sogno.

Da qui il motivo profondo della necessità di un’opera di ecologia politico-culturale sui fatti del 1921. La politica liberale non si può fare attraverso il sogno e l’utopia. Ma solo basandosi sui fatti reali e sulle diverse proposte dei cittadini, molto differenti fra loro. Nella consapevolezza che, così, ci si avvia a mutare il registro dell’agire pubblico. La politica della convivenza diviene più rivolta ai progetti di come risolvere le sfide concrete che si presentano nella realtà, piuttosto che a proseguire nella pratica dello sbandierare promesse rassicuranti e modelli perfetti di Stato, che è stata per secoli il marchio del gestire il potere pubblico da persone e gruppi più o meno insensibili all’affidarlo alle scelte dei cittadini.

 

 

 

" Il totalitarismo: il male politico del novecento"
(Prefazione di Raffaello Morelli al libro di Francesco Leonardo)

  
Il titolo di questo libro suscita un interesse che il suo testo soddisfa.
E' un serio contributo di analisi e di consapevolezza su cosa abbia significato il totalitarismo nel novecento. Ripercorre gli eventi mettendo in evidenza le interazioni dei principi politici nelle diverse condizioni sociali, così da poter utilizzare i dati risultanti negli approcci politici quotidiani. Fa questo in modo
non convenzionale, focalizzando l'attenzione sulla necessità politica del metodo liberale.
L'autore inizia definendo il totalitarismo una radicale contrapposizione alla prassi liberale, soprattutto nella completa negazione dell'individualismo. E, prendendo le mosse dai precedenti avvenimenti storici, sviluppa differenze e consonanze tra i due principali filoni del totalitarismo, il comunismo e il nazifascismo. Nemici tra loro (e con l'ulteriore distinzione tra
nazionalsocialismo e fascismo), ma con un evidente aspetto comune: il loro carattere utopico, seppur fondato su valori opposti, che si impernia sull'obiettivo di cancellare la libera diversità dell'individuo nella illusoria pretesa di esaudirne così i desideri e di risolverne i problemi.
Il libro riprende i punti di vista di molti importanti studiosi nelle varie tendenze in tutto il mondo, in particolare di Hannah Arendt, una.figura centrale sul tema. E muovendo dal confronto tra gli avvenimenti verificatisi e le prese di posizione della politica, dei cittadini e degli studiosi, mette in luce come il contrasto sul modo di meglio governare la convivenza si rinnovi di continuo eppure mantenga radici molto antiche. Verte sul ruolo che in proposito viene attribuito al cittadino.
Le varie concezioni succedutesi nei secoli, alcune anche di grande spessore nello spiegare il fenomeno del momento, di fatto ruotano intorno al come superare progressivamente la concezione platonica. Quella concezione che ha costituito la prima compiuta teorizzazione della visione utopica, e cioè il programma di comprendere il mondo reale con le idee elitarie, senza tener conto degli individui in carne ed ossa e del passare del tempo. Nei secoli molti avvenimenti hanno portato a rovesciare questa concezione.
Passo a passo si è arrivati a riconoscere il valore dei fatti sperimentali e quindi delta liberta individuale che li osserva e che, esercitando il senso critico, li valuta per vivere compenetrando di più l'effettiva natura del mondo (procedura assai distinta dall'immaginare, che è attività sempre utile e coinvolgente, ma slegata dai riscontri sperimentali, anche in prospettiva).
Sono processi lenti e, sempre frammisti alla abitudine invalsa durante i secoli di puntare su modelli definitivi fuori del tempo e perciò utopici.                      E anche quando venivano introdotte concezioni innovative del modo di pensare, come avvenne con Hegel e poi con Marx, in sostanza si proseguiva sulla vecchia linea del subordinare l'individuo cittadino all'utopia, o dello Stato o delle classi che si sarebbero sublimate nella società senza classi
Una linea che, nel novecento, ha portato all'esplosione totalitaria, di cui il libro tratta diffusamente sopratutto per quanto concerne le vicende tedesche.
All'epoca della forte presa totalitaria -ci ricorda il libro - le società liberali reagirono all'attacco in maniera dapprima timida ed insufficiente. E ciò avvenne sia perché non percepirono immediatamente la natura profonda dell'avversario, sia perché identificando la libera convivenza immaginabile con le istituzioni in essere, si preoccupavano di evitare ogni cambiamento invece di promuoverlo nella coerenza dei principi. Atteggiamento che era in
qualche modo influenzato dar clima politico di allora, dominato dall'adottare speranze palingenetiche (fondate sull'utopia) contrapposte ad un presente supposto immutabile per poterlo meglio rifiutare.
A conclusione di questo esame approfondito dei dati storici, il libro segnala che la scelta di affidarsi sempre più alla diversità individuale, ha consentito di migliorare a fondo il modo di convivere ognidove tra cittadini in società variegate e complesse
Peraltro, al tempo stesso opportunamente constata che la maggior libertà - proprio perché molto differente dall'antica concezione rigida e mirata all'utopia - se non si accompagna sempre ad un forte esercizio del senso critico rispetto ai fatti concreti di vita, finisce per dar più spazio al cercare le soddisfazioni individuali trascurando la realtà degli altri cittadini e a manifèstare urlando in pubblico le insoddisfazioni per le carenze pretendendo tutto dovuto.
Si pensa a protestare più che a risolvere le cause della protesta governando la convivenza. Cosicché, alla maggiore libertà del cittadino si accompagna il manifestarsi di una propensione pervasiva alla sfiducia in tutto ciò che ci circonda se confrontato con quello che si vorrebbe. Situazione che è terreno fertile per la tentazione di affidarsi alle promesse populiste e alla fede nell'utopia, due fattori che, oltre un certo limite, sono il prodromo del progetto  totalitario. In pratica, senza un impegno continuo e robusto per rinnovare via via i modi di indirizzare la convivenza su nuovi traguardi di livelli di vita del cittadino, la libertà propende a rinunciare a se stessa, quasi dimenticando quanto si é capito nel tempo e cioè che proprio nella liberta individuale sta la chiave effettiva del poter creare una migliore convivenza di fatto.
Sconfitti in guerra nazisti e fascisti ed imploso il marxismo realizzato per l'intrinseca debolezza (ironia dei fatti) proprio in terna di economia, la storia non è finita come preconizzato troppo frettolosamente e per sostanziale ignoranza della vita effettiva.
La libertà del cittadino si trova ancora oggi (e sempre si troverà) a fare i conti con la necessita di costruire nuove forme per applicarsi alle sfide dell'epoca nei diversi paesi, peraltro in un mondo più interconnesso di una volta e quindi ancor più soggetto a sommovimenti. Il che non contraddice l'efficacia della libertà individuale ai fini di una pacifica convivenza dei cittadini.
Al contrario, è una coerente presa di coscienza dell'effettivo funzionamento della libertà del cittadino: il tempo continua a scorrere ed è del tutto illusorio cercare soluzioni umane negando al tempo fisico la .funzione strutturale, che corrode sempre le istituzioni esistenti e molto di più quelle che cercano la rigidità dell'essere definitive. Ragionare senza tregua sulle condizioni della convivenza e configgere democraticamente per decidere il da farsi, è il cuore del metodo liberale per seguire il ritmo del tempo che passa.
Leggere questo libro spinge ognuno ad esercitare quel senso critico che di per se serve a indurre il cambiamento nella convivenza.
Cosa completamente diversa dal cercare di cambiare l'uomo sognando tutto e non facendo niente se non propalare quel sogno.
Nel mondo attuale si possono praticare, più nel concreto e con più rapidità, gli aggiustamenti nei rapporti e nelle condizioni di vita. E assai positivo ma anche più impegnativo, nel senso che, se si trascura questa opportunità, sarà assai più rapido il declino dell'ambiente civile. Serve oggi, più di una volta, praticare un atteggiamento costruttivo rispetto agli altri e alle regole che vogliamo darci per convivere. Perché la civiltà è una costruzioneumana, cosi come lo è la libertà individuale.
Esse vivono sperimentando le iniziative di tutti i cittadini nel mondo che li circonda.
Altrimenti, senza manutenzione continua, deperiscono e possono morire di indignazione e di utopie.
Riassumendo, questo libro è un tassello ed un approccio per praticare il metodo liberale. Serve a conoscere il totalitarismo per evitarlo meglio.
Cominciando dall'evitare una tendenza collaterale - non sottovalutabile da chi sostiene la libertà nel convivere - che ancora una volta si sta già verificando, ora negliStati Uniti.
Sta avvenendo che la tendenza ad esprimere la protesta in modo mediaticamente assai visibile ma vuoto di correttivi suggeriti (ad esempio la mobilitazione contro Wall Street), si sta trasformando nel giro di pochi mesi in propensione diffusa delle istituzioni a rendere più difficile a chiunque il manifestare per il manifestare, al chiedere tutto subito.
Chi vuole la libertà del cittadino diffida istintivamente dell'esaltato conformismo giornalistico che celebra gioioso gli eventi spettacolari senza contenuti. Però si oppone ad esso non con la restrizione degli spazi di libertà dei cittadini, bensì seguendo la strada del rafforzare in ogni cittadino la manutenzione e l'uso di senso critico e di consapevolezza: servono ad irrobustire la partecipazione nel decidere le scelte di vita nella convivenza.
Questo genere di partecipazione è tipicamente liberale.
E' ben differente dalla partecipazione rituale di massa degli egoismi individuali per adorare un'autorità civile o religiosa dispensatrice di privilegi, beni e servizi a suo piacimento. La partecipazione liberale serve a decidere come costruire la società in base alle scelte fatte davvero dai cittadini. Appunto perché siamo oggi quello che l'umanità è risuscita a produrre nei secoli, e saremo domani quanto avremo scelto di fare nel frattempo.
Come inventiva, come lavoro e come regole.